Con i figli intorno
La notizia è stata annunciata da un comunicato della Santa Sede, in cui si sottolinea che “i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio”, così “anche nel cuore e nel magistero del Santo Padre, che aveva scelto il nome Francesco per mai dimenticarsi di loro”. Ma ad offrire i dettagli ai media vaticani è “don Ben”, il vescovo Benoni Ambarus, segretario della Commissione CEI per le migrazioni e delegato per l’ambito della carità, colui che il 26 dicembre era al fianco di Francesco in uno dei gesti più simbolici del pontificato: l’apertura della Porta Santa nel carcere di Rebibbia.
Ambarus si commuove pensando a quella giornata, ancora di più in questi giorni in cui ancora si fatica a metabolizzare la morte di Papa Francesco. La sua voce si incrina durante la conversazione telefonica, specie quando spiega le motivazioni di questo gesto: “Mi sembra una scelta commovente, perché il Santo Padre Francesco è accolto dalla Madre che lui tanto amava (la Salus Populi Romani ndr) e dai suoi figli prediletti, che gli faranno corona attorno in questi ultimi passi. Mi sembra una cosa veramente bella...”.
Valorizzare la presenza dei poveri
L’idea è nata dopo un contatto tra lo stesso Ambarus e il maestro delle Celebrazioni Liturgiche pontificie, monsignor Diego Ravelli, per “provare a valorizzare la presenza ai funerali o in qualche modo delle persone povere”. Si è scelta allora “una rappresentanza delle varie categorie di persone fragili, poveri, tra persone senza dimora, migranti, detenuti o ex detenuti o famiglie povere. Idealmente è come se tutto il suo popolo prediletto lo accompagnasse negli ultimi passi”.
Sui gradini della Basilica papale ci saranno quindi circa 40 persone, si attende in queste ore la comunicazione definitiva sul numero e l’elenco dei detenuti che riceveranno l’autorizzazione a partecipare. Presente pure “una piccola rappresentanza di transessuali che conosco, che seguiamo, di una piccola comunità di suore che vivono con questi transessuali”, spiega don Ben. “Hanno delle storie molto belle alle spalle. Una in modo particolare, quando ci siamo visti anche prima di Natale, aveva appena firmato un primo contratto di lavoro vero in vita sua con l’aiuto della Caritas Diocesana di Roma. Era tutta emozionata”.
Il vuoto e la perdita
Quindi “tante storie” di tante persone che, tra l’altro, hanno avuto modo di incontrare Francesco in questi anni. Alcuni dei detenuti sono ad esempio quelli di Rebibbia, ma anche i migranti o i senza fissa dimora “di sicuro quasi tutti hanno avuto almeno una volta la possibilità di incontrarlo”, dice il vescovo. E, ancora con la memoria a Rebibbia, spiega che di quella scelta del Pontefice di rendere per un giorno un penitenziario “cattedrale” rimane tutta la sua grandezza. Allo stesso tempo “un vuoto” per chi vi ha partecipato.
“Rimane per loro, per le persone che vivono questa realtà carceraria un grande senso di orfanezza, perché questo mi arriva, questo mi scrivono, questo mi dicono. Si sentono orfani di un padre, da una parte; dall’altra, mi scrivevano proprio l’altro giorno: ‘Noi rimarremo aggrappati a quella speranza alla quale lui ci ha invitato di aggrapparci”. E questa speranza è anche che “la società civile e tutti quanti noi non ci dimentichiamo di loro, così come si invitava spesso Papa Francesco”.
I contributi del Papa in questi anni per i bisognosi
Un Papa che ha sostenuto i detenuti in modo anche concreto attraverso contributi economici. “Il Santo Padre – sottolinea Ambarus - ha sempre invitato tutti a fare qualcosa e lui stesso ha fatto in prima persona. La stragrande maggioranza dei suoi aiuti rimarranno nel segreto di Dio, ma alcune cose sono state comunicate. Di sicuro ha sempre contribuito in prima persona; come diceva: la carità passa attraverso il portafoglio e lui non si è mai tirato indietro”.
Il presule cita come esempio “uno dei primi gesti grossi in tempo di Covid” che è stata l’istituzione del Fondo Gesù Divino Lavoratore con un milione di euro alla Diocesi di Roma per aiutare le persone disoccupate, che lavoravano in nero, i precari e quanti avevano difficoltà a pagare le bollette, fare la spesa alimentare o quella sanitaria. “Sempre il Papa ci ha dato anche un milione per la risistemazione della vecchia casa del clero e trasformarla in appartamenti per le famiglie povere”. Ma non solo su Roma, tutto il pontificato di Bergoglio “è costellato da contributi in tutto il mondo”, senza dimenticare la “sterzata grossa rispetto all'amministrazione dei beni ecclesiastici a favore dei più bisognosi”.
Addio, ma anche grazie
Quindi questi bisognosi non vanno solo a salutare ma anche a ringraziare. “Lo accoglieranno con una rosa bianca, tutti, e con il gesto della rosa bianca è un modo di dire bentornato a casa, perché andrà nella Casa del padre, ed è una rosa per dire grazie per quello che hai fatto per noi”, dice don Ben, prendendo respiro in mezzo alle lacrime. “Sono i figli che salutano il padre”.